Siamo sospesi tra utopia e distopia, che non sono opposte, ma due lati della stessa medaglia. Il design e l’architettura non devono più scegliere tra speranza e catastrofe, ma devono imparare ad abitare questa tensione. La Distopia è già qui, invisibile e pesante, camuffata da progresso. La mostra Datapolis ci racconta ad esempio che il cloud non è etereo, ma una ‘città mineraria’ avida di energia. Il progresso che promette libertà, in realtà ci misura e ci sorveglia. In questa crepa, però, si insinua il riscatto, l’utopia immaginabile della resilienza continua è la ricerca di armonia.
Lo dimostra la Sun Tower di OPEN Architecture, che trasforma l’architettura in un calendario fisico per ristabilire il legame con il cosmo. In questo contesto, il design diventa sinonimo di rispetto e adattamento. Dalle architetture organiche come il Richard Gilder Center a New York, modellate sulla geologia, all’essenzialità alpina del progetto dei Slik Architekten con gli interni disegnati da Park ad Andermatt che onora il paesaggio, il progetto cerca un equilibrio duraturo.
Parallelamente, l’ufficio si trasforma in un organismo flessibile, come esposto nell’Album di questo numero, che si adatta a chi lo vive, non viceversa. L’Utopia, quindi, non è il non-luogo di Thomas More, ma il luogo giusto che riusciamo a disegnare oggi. Il nostro compito, di tutti i componenti della filiera di settore, è trovare la bellezza in questa difficoltà, rendendo visibile, abitabile e profondamente umana questa zona di alta tensione creativa.