Dopo Art 72 Rooms, Weichen Zhong prepara un nuovo progetto per il 2020. Con lui abbiamo parlato di come la Cina stia ripensando il design
Cina, Italia, design e arte: un filo ideale unisce due Paesi geograficamente lontani, e due discipline che spesso si intrecciano e danno vita a progetti complessi e interconnessi. Così è per Art 72 Rooms, un progetto di condivisione a cura dell’architetto cinese Weichen Zhong e dall’architetto e docente italiano Davide Crippa, naturale proseguimento del Design Hostel, un’iniziativa del Fuorisalone milanese del 2017.
Weichen Zhong è un architetto e interior designer con una lunga esperienza, e con lui abbiamo parlato di design, e dei rapporti tra Italia e Cina. Una lunga conversazione, in cui ha raccontato come la percezione del design in Cina stia cambiando, e quali potenzialità abbia ancora da esprimere.
Che ruolo ha il design, in Cina, oggi, come creatore di valore per l’uomo?
“La Cina oggi è vista nel mondo come un grande Paese, che produce una quantità infinita di beni, a una velocità vertiginosa. E in effetti per tanti anni è stato così. Io stesso, che ho una formazione prima come artista e poi come designer, per diverso tempo lavoravo e producevo progetti a ritmo serrato, lavorando con il solo fine economico.”
Quando ha cominciato a intuire che il design fosse anche un’opportunità per innovare?
“Diciamo che l’ho sempre pensato, ma ne ho avuto la conferma la prima volta che sono stato a Milano per la Design Week, nel 2013. Ma facciamo un passo indietro, così è tutto ancora più chiaro. Nel mio primo ciclo di studi, io avevo scelto di studiare arte, e avevo ottenuto l’ammissione a una scuola d’arte molto selettiva a Shanghai. Nel 1995, quando venni in Italia per la prima volta, visitai la Galleria degli Uffizi, a Firenze, e rimasi davvero impressionato dalla magnificenza dell’arte che vi era esposta. Così impressionato, da cominciare a pensare che forse non ero così dotato di talento artistico. Quindi, da quel momento in poi decisi di concentrarmi sull’architettura e il design, una professione che mi piaceva e che permetteva di guadagnare bene. Per diversi anni, ho lavorato ai ritmi estremamente serrati tipici della Cina, senza interrogarmi troppo sul significato più profondo della mia professione. Questo è un atteggiamento abbastanza diffuso, in Cina: in genere, gli architetti eseguono i progetti che vengono commissionati, senza troppe obiezioni, cercando solo di fare il più in fretta possibile. Poi, nel 2013, sono stato per la prima volta alla Design Week, a Milano, e lì ho visto una possibilità di interpretare il progetto in un modo diverso.”
Quali caratteristiche della Milano Design Week hanno influenzato su un cambiamento del modo di pensare?
“Non è solo la Design Week, è anche il rapporto con i docenti, con le università italiane, con gli studenti, italiani e stranieri. È anche l’osservazione di un metodo diverso di studio. Un esempio: gli studenti occidentali, in generale, hanno la tendenza a fare molte domande. Anche gli studenti cinesi fanno domande, ma sono sempre relative all’esecuzione, non sono mai domande sul perché di un progetto. Invece “perché” è una parola importante, è la sintesi di un approccio differente; un docente italiano non mette mai fretta a uno studente, perché il design è pensiero, è elaborazione. Una cosa che in Cina si fatica ancora a capire.”
Quali aspetti del design attraggono maggiormente studenti e professionisti cinesi?
“Fino a poco tempo fa, avrei risposto: la fama e i buoni guadagni. Oggi invece, per fortuna, qualcosa sta cambiando anche in Cina. Più che altro, finalmente stiamo riprendendo la coscienza della nostra grande cultura, del nostro passato ricco di storia e tradizione. Quando l’Occidente guarda alla Cina, sembra che veda solo una grande fabbrica di copie. E purtroppo, per molti anni anche il popolo cinese è sembrato avere perso la fiducia nelle proprie capacità. Invece la Cina ha una grande tradizione di arte, e deve solo tornare a credere nelle proprie possibilità. Ma sta succedendo, sono sempre di più i designer che maturano la convinzione che il design sia un pensiero elaborato, e che richieda dunque tempi più lunghi, per riflettere e progettare. Il design, dunque, diventa mezzo e un metodo per progredire. E devo dire grazie anche ai progetti con il Politecnico di Milano per questo sviluppo.”
Dopo Art 72 Rooms, ci sono altri progetti in cantiere?
“ Art 72 Rooms è stata un’esperienza molto interessante, tra Shanghai e Milano. A Shanghai in un ex-tempio buddista a Xintiandi, e a Milano in Bovisa, durante il Fuorisalone 2019, siamo riusciti a lavorare con artisti e designer italiani, cinesi e di altre nazionalità, a progetti che sottolineano il grande valore della condivisione e dell’ospitalità. Adesso stiamo preparando un nuovo, interessante progetto per il Fuorisalone 2020, che comprende una mostra e un workshop con studenti. Sarà un’altra bella occasione per lavorare in un contesto internazionale, in cui diverse culture si confrontano e il design acquista ulteriore valore, come scambio e riflessione.” [Text Roberta Mutti]
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