Intervista allo studio formato da Alberto Saggia e Stefania Kalogeropoulos, che ha sede a Milano
Anonima/Luci è lo studio formato da Alberto Saggia e Stefania Kalogeropoulos e fondato a Milano nel 2018 sviluppa il proprio lavoro intorno alla luce e al design di prodotto.
Alberto è un designer industriale specializzato in lighting design, mentre Stefania è un’architetta con un master in lighting ed exhibition design. Insieme hanno una particolare inclinazione per le installazioni e le sperimentazioni artistiche che fondono laser, suoni e impulsi elettrici con un approccio più ingegneristico dal chiaro carattere architettonico ed effimero.

Tra le loro installazioni spicca “444 Linee”, la prima mostra personale presso lo spazio BDC di Parma. La mostra comprende sia installazioni site-specific che progetti di light art su piccola scala.
L’intervista
Come è nato il progetto Anonima/Luci? Cosa vi ha fatto incontrare e qual è stato il primo progetto che vi ha fatto dire: “Sì, siamo un duo”?
Il progetto Anonima/Luci è nato in modo molto naturale, quasi spontaneo, come spesso accade quando si condividono sensibilità affini e una visione comune della luce come linguaggio espressivo. Ci siamo incontrati grazie a una serie di fortunate coincidenze – mondi diversi ma complementari: uno più legato al product design e alla tecnologia, l’altro all’architettura e al design esperienziale.
La vera colla è stata l’interesse per la luce intesa non solo come funzione, ma come materia narrativa, capace di trasformare lo spazio e coinvolgere i sensi. L’idea di “fare qualcosa insieme” è nata parlando di questo, immaginando un progetto libero, sperimentale, non vincolato dalle convenzioni.
Il primo vero progetto che ci ha fatto dire “sì, siamo un duo” è stato Effimero Effetto. È lì che abbiamo capito quanto fosse solido e stimolante il nostro dialogo progettuale. In quel lavoro abbiamo sperimentato per la prima volta l’uso della luce come strumento sensoriale, costruendo un ambiente che era tanto installazione quanto esperienza. Non abbiamo semplicemente illuminato uno spazio: abbiamo costruito un racconto fatto di luce, suono e percezione.

Il vostro lavoro trova spesso un equilibrio delicato tra forma e atmosfera. Se doveste descrivere la vostra filosofia progettuale in tre parole chiave, quali sarebbero? E che ruolo ha la luce nel vostro processo creativo?
Tre parole chiave per descrivere la nostra filosofia progettuale? Percezione, immersione, precisione.
La percezione è il punto di partenza: ci interessa come la luce modifichi lo spazio, ne cambi la lettura, suggerisca significati diversi a seconda dell’intensità, della direzione o della temperatura/colore. Con la luce raccontiamo, non semplicemente illuminiamo. Immersione perché ogni nostro progetto cerca di coinvolgere i sensi, di trascinare l’osservatore dentro un’esperienza. La luce, per noi, è un mezzo che unisce il visibile all’invisibile, una materia intangibile ma potentissima per generare emozioni e connessioni. E infine precisione: ogni intervento, anche il più spontaneo o poetico, è il risultato di un processo tecnico e rigoroso. Studiamo l’ambiente, i materiali, le tecnologie, perché la luce non è mai casuale. È sempre il risultato di una scelta. Nel nostro processo creativo, la luce è punto di partenza e punto d’arrivo. È lo strumento che ci permette di scolpire lo spazio, creare ritmo, silenzi, accenti. È una materia viva con cui costruiamo atmosfere e visioni.
La vostra installazione per Kave Home durante il Fuorisalone ha introdotto un’idea nuova, quasi sensoriale, di spazio abitativo. Da dove è partita la costruzione di questo racconto?
Il concept delle installazioni per Kave Home durante il Fuorisalone è nato da Beatrice Rossetti, giornalista e interior stylist che aveva già collaborato con Kave Home lo scorso anno e che ha curato anche il progetto per il MDW 2025.
Beatrice ci ha raccontato il suo desiderio di esplorare come la luce possa trasformare lo spazio abitativo in un’esperienza sensoriale immersiva. Abbiamo voluto creare un ambiente in cui luce, suono e profumo si unissero per dare vita a un’installazione multisensoriale, nella quale l’arredo diventasse protagonista: uno pensato per l’outdoor, l’altro per l’indoor. La nostra filosofia progettuale si basa sull’idea che la luce non sia solo un elemento funzionale, ma un mezzo espressivo capace di evocare emozioni e modellare l’atmosfera. In questa installazione, abbiamo usato la luce per scolpire lo spazio, creare ritmo e accenti, e guidare il visitatore in un viaggio sensoriale unico. Lavorare con Kave Home ci ha dato l’opportunità di operare su una scala più intima rispetto ai nostri progetti abituali, concentrandoci sul dettaglio e sull’interazione tra luce e arredo. Questo ci ha permesso di approfondire ulteriormente la nostra ricerca su percezione e immersione, elementi chiave della nostra pratica.

Com’è stato collaborare con un brand come Kave Home? Vi siete sentiti liberi di sperimentare o il processo era guidato da un brief rigido?
Lavorare con Kave Home è stato stimolante e sorprendentemente fluido. Fin dall’inizio abbiamo percepito una grande apertura verso la nostra visione: più che imporci un brief rigido, ci è stato dato un contesto entro il quale muoverci liberamente, lasciandoci spazio per un’interpretazione progettuale personale. Il brand ha dimostrato grande fiducia nel nostro approccio, permettendoci di mettere la luce al centro del racconto spaziale e sensoriale. Questo ci ha consentito non solo di sperimentare con linguaggi e tecnologie che ci appartengono, ma anche di adattarli a una scala diversa, più domestica, più intima. Il dialogo con la curatrice Beatrice Rossetti e con il team di Kave Home è stato costante e costruttivo: abbiamo lavorato in sinergia, condividendo visioni e sensibilità. Questo tipo di collaborazione ci ha permesso di spingere il progetto oltre l’aspetto decorativo, trasformandolo in un vero racconto immersivo, dove la luce non accompagna semplicemente il prodotto, ma lo valorizza e lo reinterpreta. In sintesi, è stata un’occasione preziosa per unire mondi diversi, con un obiettivo comune: trasformare lo spazio in un’esperienza.
