Marc Thorpe è architetto e designer, e lavora da anni con molte aziende italiane, grazie anche a lontane origini nel nostro Paese
Marc Thorpe è architetto e designer, e ha completato i suoi studi alla Parsons School of Design, a New York. Sempre a New York, ha aperto il suo studio, Marc Thorpe Design, nel 2010, con cui svolge la sua attività professionale, multidisciplinare. Il suo approccio al design e all’architettura si svolge lungo un unico filo conduttore, che ruota attorno a una ricerca sui materiali, e sul loro impatto sull’ambiente e sull’uomo. La sua filosofia si riflette nei suoi progetti di design, dove i diversi materiali sono accostati, per creare oggetti di nuova concezione, e nei progetti di architettura, dove sono sempre privilegiati i materiali e le tecniche di costruzione locali, per realizzare edifici che risparmiano energia e rispettano l’ambiente.
Grazie alle sue origini, ha una speciale predilezione per l’Italia, che l’ha condotto a lavorare con diverse aziende made in Italy, tra cui Cappellini, Casamania, Moroso; oltre al settore dell’arredamento, ha progettato oggetti in vetro per Venini o macchine per spillare la birra per Stella Artois. Durante la pandemia, ha sviluppato ulteriormente la sua coscienza ambientale, fondando una nuova divisione del suo studio, Edifice Upstate. Edifice Upstate si dedica in particolare al progetto e allo sviluppo di edifici a basso impatto ambientale, autosufficienti dal punto di vista energetico.
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Come ha cominciato l’attività di architetto e designer? Da cosa è nato il desiderio di occuparsi di design?
“Essendo cresciuto in una famiglia dove arte e design erano di casa, la passione per il design si è sviluppata naturalmente, nel corso degli anni della mia infanzia e adolescenza. Vedevo le auto italiane, come la Lamborghini o la Ferrari, e le trovavo molto affascinanti, e questo mi ha condotto a studiare design, e architettura, due professioni che trovo molto affini. Grazie all’atmosfera “italiana” in cui sono cresciuto, dopo la fine degli studi alla Parson School of Design di New York, mi è sembrato naturale rivolgermi alle aziende italiane, per lavorare.
Così ho cominciato a venire in Italia, che per me rappresentava l’avanguardia del design, e ho avuto la fortuna di lavorare con le aziende più note, Moroso, Cappellini, Casamania, e con diverse aziende europee, sempre di arredamento. Fin dagli inizi, però, ho cercato di allargare la mia attività a doversi campi; per questo, accanto ai mobili, ho progettato, per esempio, uno spillatore per birra per Stella Artois. Nella seconda metà degli anni 2000 ho aperto il mio studio, Marc Thorpe Design, e da allora la mia ricerca non si è mai fermata.”
Il design può aiutare l’ambiente
Cosa significa essere un designer, oggi? Il design può migliorare la vita?
“L’obiettivo del design è migliorare la vita, e in genere quando si è giovani e la professione è agli inizi, si è davvero convinti che si potrà cambiare il mondo. In seguito, man mano che si sviluppa l’attività, ci si rende conto che magari non si cambierà il mondo, ma non per questo la professione perde di significato. Al mondo ci sono tantissime sedie e tavoli, e sicuramente non abbiamo bisogno di un’altra sedia o di un altro tavolo, se sono uguali a tutti gli altri, ma senz’altro abbiamo bisogno di idee nuove. L’arredamento, infatti, ha un enorme potenziale non ancora espresso, in termini di salvaguardia dell’ambiente.
Ogni volta che si progetta un prodotto nuovo, bisogna pensare al materiale che si sta utilizzando, alle tecniche di produzione, alla logistica. L’arredamento potrebbe avere la stessa evoluzione che hanno avuto la moda, o l’automobile, con l’arrivo dell’auto elettrica. In questo senso, il designer ha un ruolo importante, che può davvero provocare il cambiamento: a volte, basterebbe dire di no, quando ci viene proposto qualcosa che ha poco senso, o che non contiene nessun elemento di innovazione. Un designer potrebbe dire di no a una nuova sedia, se è inutile, e un architetto potrebbe dire di no davanti alla richiesta di progettare un nuovo stadio, se non serve ed è dannoso per l’ambiente.
Le nuove tecnologie e i materiali riciclati
Certamente, mi rendo conto che è più facile dire di no quando si è già affermati nella professione. Tuttavia, quando si va in Italia al Salone del Mobile, per esempio, si è sopraffatti dall’abbondanza di prodotti, e al tempo stesso ci si rende conto che le nuove idee sono piuttosto rare. Ma ci sono moltissime possibilità di fare cose diverse, per esempio cercando materiali nuovi, riciclati, con diverse tecniche di produzione. Ritengo che il tempo in cui un designer andava al Salone del Mobile con il suo portfolio, per cercare aziende con cui lavorare, sia un tempo passato; ciò che serve oggi, è riflettere e cercare di avere nuove idee per il design del futuro, per migliorare l’ambiente in cui viviamo; in questo processo di design thinking, rientrano anche il riciclo dei materiali e le nuove tecnologie.”
Scopri il Salone del Mobile.Milano 2022
Tra i progetti di Marc Thorpe, c’è una collezione di oggetti di Venini, in vetro soffiato e metallo con fili di polietilene, intrecciati a mano. La commistione di materiali, la ricerca delle lavorazioni artigianali e locali è una delle caratteristiche del lavoro di Marc Thorpe. Quali sono i suoi materiali preferiti? E quali pensa che saranno i materiali del futuro?
“In realtà, non è che ci siano materiali preferiti, penso che la cosa migliore sia sempre cercare il materiale migliore per ogni progetto. Il ciclo di Krebs della creatività elaborato da Neri Oxman riassume bene la filosofia del design: i materiali devono essere creati e ingegnerizzati per ogni progetto. In questo modo, i materiali sono al tempo stesso naturali e artificiali; sono creati dall’uomo, ma derivati dalla natura. E penso che questa sarà l’evoluzione dei materiali in futuro; la tecnologia ci mette a disposizione tanti strumenti, bisogna usarli nel modo migliore.”
Lei ha lavorato negli Stati Uniti, in Italia, in altri Paesi europei, in Uganda, in Senegal, in breve in vari Paesi nel mondo. C’è un posto in cui preferisce lavorare?
“Sono molto legato all’Italia, e all’Europa in generale. Mia madre è di origini italiane, mia nonna era la prima Venini nata negli Stati Uniti; mio padre è cresciuto in Germania, dunque io ho sempre respirato cultura italiana ed europea. Inoltre, lavorare in Italia è sempre un piacere, mi piace molto l’approccio italiano al lavoro; apprezzo particolarmente che a volte l’aspetto commerciale del progetto di un progetto passi in secondo piano rispetto al lato creativo, rende il progetto più etico, più “umano-centrico”. Certamente, comunque comprendo che un progetto debba avere anche una sostenibilità economica. Ma credo che sia questo approccio che ha fatto grande la storia dell’Italia nel design.”
L’architettura aiuta a salvaguardare l’ambiente
La pandemia ha cambiato qualcosa nell’approccio al lavoro?
“La pandemia ha cambiato moltissime cose. In generale, penso che ci abbia incoraggiato a rallentare molto, e questo è sicuramente un bene; ci ha aiutato a ristabilire alcuni equilibri nella nostra vita, a decidere cosa è importante e cosa invece lo è meno. Ma ci ha anche costretto a fare i conti con il fatto che dobbiamo avere cura del pianeta in cui viviamo. Per questo, ho fondato una nuova divisione del mio studio, che si chiama Edifice Upstate. Edifice Upstate vuole promuovere un’architettura più sana e rispettosa dell’ambiente, che usi materiali locali, per costruire case energicamente autosufficienti, a energia solare, più sostenibili e a prezzi accessibili; esempi di architettura contemporanea accessibile e sostenibile.
Edifice Upstate è l’evoluzione di un percorso cominciato qualche anno fa, con il progetto della Sharp House, a Santa Fé, in Nuovo Messico. Nel progetto della Sharp House, già si era fatta strada l’idea di avere solo l’essenziale, di usare l’esposizione, i materiali, la luce e l’ombra, per avere una ventilazione sana e naturale, anche in zone impervie come il deserto. Sharp House, inoltre, è alimentata da pannelli solari, che forniscono tutta l’energia necessaria alla casa, e così è anche per le case del progetto Edifice Upstate.”
Lei lavora molto nel settore dell’arredamento, dunque ha familiarità con la Milano Design Week. Pensa che la pandemia cambierà qualcosa di sostanziale anche per quanto riguarda le fiere di settore?
“Naturalmente, non lo so, nessuno può saperlo. Però posso dire che l’edizione di settembre 2021, il Supersalone, mi è piaciuta molto, quel format mi sembrava perfetto: veloce, snello, essenziale. Un Salone così, magari della durata di due settimane, potrebbe essere un’idea, perché no? Mi immaginerei tante installazioni nella città, con un evento alla Fiera, di dimensioni ridotte rispetto al Salone classico, ma con una durata più lunga; e le aziende potrebbero presentare meno prodotti, ma più evoluti e approfonditi, anziché tanti prototipi. Un concept così sarebbe molto più sostenibile, in generale, e forse lo sarebbero anche i prodotti. In attesa di vedere cosa succede, posso anticipare che al prossimo Salone del Mobile, comunque, presenterò un prodotto, un tavolino per La Manufacture.”